sabato 5 ottobre 2013

La macchina

Sul sito: http://www.salviamoilpaesaggio.it ho trovato questa bella provocazione che condivido in molte parti. Solitamente non mi va di ricopiare parti trovate qua e la' ma in questo caso, visto l'argomento, mi pare che ne valga la pena considerare questo contributo. E' un po' lungo ... ma si legge bene!



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L’Italia è uno dei paesi più motorizzati del mondo. Secondo una classifica compilata da wikipedia sulla base di dati ufficiali, in Italia nel 2010 c’erano 679 veicoli a motore, due ruote escluse, ogni mille abitanti. Siamo i decimi in assoluto ma, togliendo dalla classifica paesi minuscoli e ricchissimi come San Marino, Monaco, Liechtenstein e Lussemburgo, saliamo al sesto posto, davanti a quasi tutto il resto d’Europa.

Di questi tempi si sente tanto parlare di automobili ecologiche, non rendendosi conto che si tratta di un ossimoro. L’automobile ecologica non esiste. Tralasciamo per un attimo il fatto che anche produrre energia, per lo meno al momento, inquina, che le fonti rinnovabili non bastano per i trasporti e che il consumo delle materie prime e dell’energia necessarie per dotare di un’auto, per quanto ecologica, ogni essere umano del pianeta ci porterebbe ancora più velocemente al collasso; soffermiamoci invece su quello che ogni auto, per quanto “ecologica”, non può non fare: occupare spazio.

Proviamo a fare un calcolo partendo dal dato di un rapporto Istat del 2010: in Italia ci sono oltre 600 auto ogni mille abitanti. Questo significa 35 milioni di automobili (arrotondando per difetto). Le dimensioni medie di un parcheggio si aggirano sui 12,5 metri quadri; per cui, senza nemmeno circolare, le automobili possedute dalla collettività degli italiani coprono già 437,5 chilometri quadrati: due volte e mezzo l’area dell’intero comune di Milano. Questo è uno dei motivi principali per cui le città italiane si sono espanse così tanto: bisognava fare posto alle macchine.

Ogni auto, inoltre, non occupa solo il proprio parcheggio notturno, quando i proprietari la lasciano ferma vicino a casa, su strada o in garage: ha bisogno di strade per spostarsi, tanto più larghe quanto più traffico c’è, e di disponibilità di parcheggi ovunque vada, nonché di stazioni di servizio, autogrill, autolavaggi, concessionarie e carrozzerie – tutti più ingombranti dei loro equivalenti per biciclette.


Non si può costruire o ristrutturare nulla senza pensare a un relativo parcheggio annesso. E i parcheggi, in qualsiasi modo li si realizzi, sono una delle cose più brutte che esistono – come sono brutti i centri storici, le piazzette, i monumenti, quando le automobili li coprono visivamente e spezzano l’armonia d’insieme. Sono brutti anche i luoghi naturali, come fiumi, spiagge, parchi o angoli di campagna, nel momento in cui si riempiono di automobili: la città che fugge da se stessa portandosi dietro la sua parte peggiore.

Inoltre, rendendo velocemente (o così pare) raggiungibili posti lontani, la diffusione dell’auto ha incoraggiato lo sviluppo di centri commerciali e servizi fuori città, contribuendo all’asfaltatura dell’Italia e all’abbandono di centri storici dove, ahimè, “non si trova parcheggio”.

Tutto questo può sembrare banale: le auto occupano spazio, è ovvio. Eppure questa banalità sembra assente dal dibattito sul consumo di suolo. Soprattutto, a me pare assente dai comportamenti di chi si batte per l’ambiente.

La bicicletta, ormai, è quasi di moda, tra ambientalisti e non – ma lo slogan più frequente è: lascia a casa l’auto, non: vendila.

Ma liberandosi dell’auto le si impedisce di occupare spazio anche quando non viene utilizzata, cioè quasi sempre, e soprattutto si inizia a creare un paese diverso, in cui la domanda di trasporto pubblico e di intermodalità è autentica, quasi disperata: chi sa di poter comunque contare sull’auto in casi di emergenza o per la solita gita della domenica (o protesta contro la lottizzazione) difficilmente si batterà per un trasporto pubblico decente. Con il sole, la bici. Con la pioggia, la macchina. Gli altri si arrangino.

La battaglia per la sola ciclabilità non ha senso, è la battaglia dei privilegiati, di quelli che godono della buona salute necessaria per pedalare, e che se non hanno voglia di sudare o di prendere la pioggia possono sempre ricorrere all’auto. Ma chi non può permettersi la macchina e non ce la fa a pedalare per distanze lunghe, chi è in carrozzina, è molto vecchio o è malato come deve muoversi se i trasporti pubblici sono insufficienti? Lo stiamo vedendo con gli anziani rimasti nei piccoli paesi della montagna friulana, che non possono più guidare, non hanno servizi vicini e hanno visto tagliare le corse di trasporto pubblico: sono rimasti come in trappola.

È vero: anche i mezzi pubblici occupano spazio. Ma possono portare decine o centinaia di persone per corsa, e anziché stare fermi per la maggior parte delle loro vite, come le auto, passano la giornata a spostare persone, risparmiando un’enormità di viaggi singoli e relative necessità di strade e parcheggi.

Per convinzione personale e anche come esperimento, da quasi nove mesi mi rifiuto di salire su un’automobile, anche se piena, anche se condivisa (a chi mi dice che non potrebbe fare come me neanche volendo, consiglio il sito senzauto.it, che raccoglie storie vere di persone che vivono senz’auto ma hanno figli piccoli, animali domestici, lavori lontani, carichi da portare…). È un’esperienza molto istruttiva: solo da fuori si può capire la potenza, l’invasività, il dominio assoluto della civiltà dell’automobile.

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Nonostante i proclami, nessuno degli ambientalisti .... che conosco è veramente interessato ai trasporti pubblici. Mi dicono che costano troppo.

E l’automobile, quanto ci costa? Quante strade, parcheggi, quanto rumore, quanto inquinamento, quanti incidenti, quante morti per cancro e malattie respiratorie? Quanto consumo di suolo?

Gaia Baracetti"

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